I più noti studiosi attivi nelle Alpi negli ultimi 160 anni – geologi, paleobotanici e paleontologi del Quaternario – si sono interessati al bacino lacustre di Pianico-Sèllere, alla sua origine, al suo contenuto di fossili, per scoprire la storia della biodiversità e del clima delle Alpi, nonchè la storia geologica della Val Borlezza e della Val Camonica.
Nel 1858, durante scavi nella “marna bianca farinacea” nei pressi del Cimitero di Pianico, vennero alla luce alcuni resti ossei di vertebrati. Con il nome di “marna bianca farinacea” si indicava un deposito biancastro, friabile, composto di carbonati, impiegato per fare impasti di terraglia. Antonio Picozzi – titolare di una fabbrica di ceramiche a Sovere – si interessò ai reperti invitando sul posto gli studiosi dell’epoca – Antonio Stoppani, Emilio Cornalia e Giulio Curioni. Si trattava di ossa di rinoceronte. Già da qualche anno lo Stoppani studiava l’antico lago tra Sovere e Pianico, discutendo della sua origine glaciale. Ma si avevano ancora scarse conoscenze sull’evoluzione dei vegetali e dei mammiferi, su come identificare i fossili e sulle variazioni del clima nel tempo. Il rinoceronte fu attribuito ad una specie ritenuta di ambienti freddi (Rhinoceros merkii Jaeg.). Tra il 1866 e il 1869 Picozzi consegnò parecchi reperti di questo rinoceronte al neonato Museo di Storia Naturale di Milano.
Anche le foglie fossili che si recuperavano dai depositi dell’antico lago – acero, olmo, bosso e altre – furono attribuite all’”epoca glaciale”. In realtà questi alberi vivono in ambienti temperati, dunque Antonio Varisco e il Curioni si domandarono: se il lago fosse glaciale, come è possibile che i suoi depositi contengano fossili di ambienti temperato-caldi? Oggi sappiamo che il lago si sviluppò proprio in una fase glaciale, ma continuò ad esistere anche quando il clima divenne poi caldo, circa come oggi (Interglaciale di Pianico). Il problema continuò a far discutere i ricercatori. Tra il 1887 e il 1909 infatti, gli illustri geologi Albrecht Penck e Eduard Brückner dimostrarono che durante l’ultima era geologica (il Quaternario) si sono verificate più glaciazioni, e misero a punto un modello di quattro glaciazioni alpine, separate da “interglaciali”, fasi calde in cui i ghiacciai si sono ritirati4. In quale momento di alternanza glaciale-interglaciale si formò il bacino lacustre di Pianico-Sèllere? Per rispondere a questa domanda, essi poterono servirsi del magnifico studio sulla flora fossile di Sordelli (1896). Negli anni tra il 1873 e il 1896, Ferdinando Sordelli, direttore del Museo di Storia Naturale di Milano, aveva studiato molte flore fossili lombarde, soprattutto foglie, pigne, e semi; tra queste spicca la flora delle miniere di lignite di Leffe, nonché quelle dei depositi marini del Pliocene. Così, confrontando la composizione delle flore tra loro e con la flora recente degli ultimi millenni, il Sordelli potè stabilire una sequenza di forme nel tempo (sequenza biocronologica). A Pianico-Sèllere mancano completamente gli alberi tipici che lasciarono le loro foglie nei depositi marini pliocenici, però nella flora di oggi “una buona parte della flora (rinvenuta fossile a Pianico-Sèllere) è estinta, oppure non ha rappresentanti, fuorchè in regioni assai lontane”. Questi lontani parenti erano stati da poco scoperti nelle esplorazioni botaniche dell’Ottocento, nelle montagne balcaniche, anatoliche, caucasiche, ircaniche e nell’Atlante. Sordelli fu dunque uno dei primi naturalisti ad individuare “gemellaggi” tra il passato della biodiversità alpina e quella di montagne lontane migliaia di km. A cavallo con l’inizio del secolo XIX, altri paleobotanici, Johann Carl Fischer, Alfred Amsler, Benedetto Corti e Luigi Maffei, arricchirono la flora a foglie e diatomee6 e conclusero che la flora fossile di Pianico-Sèllere non è antichissima, però è ben diversa da quella che popola oggi le nostre montagne alpine, ed indicherebbe climi temperati, non glaciali.